Il mulino di Perinera

Il mulino

 

Il Mulino della Perinera è stato in attività fino alla metà degli anni ‘50 del secolo scorso. Era di proprietà di tutti gli abitanti dell'omonima frazione ed era usato esclusivamente da loro e dai residenti della vicina frazione Quagliera.

La data di costruzione è sconosciuta, ma su una pietra a destra della porta d’ingresso si legge 1782: ciò fa pensare che fosse in funzione già allora.

Nel mulino veniva macinata la segale, cereale indispensabile all’economia montana del passato. Talvolta si macinava anche il granoturco, che era acquistato in bassa valle, per avere sempre la farina per fare la polenta.

La segale

 

La segale si seminava a fine estate e si raccoglieva l’anno dopo in autunno, in genere a settembre, talvolta all’inizio e talvolta verso la fine del mese, a seconda delle annate più o meno favorevoli e della posizione dei campi. Alcuni invece lasciavano riposare il terreno e in primavera seminavano le patate, alternando così le due colture. Con i chicchi del precedente raccolto si procedeva alla semina: gli uomini con la pala giravano la terra e le donne dietro di loro mettevano i chicchi nel solco e li ricoprivano con poca terra. Questo cereale cresce bene in luoghi soleggiati e riparati.

Nel tardo autunno la segale germogliava e, se il tempo era favorevole, le tenere piantine crescevano e raggiungevano l’altezza di 15-20 cm. Così le pecore potevano ancora essere portate a brucare nei campi di segale e la primavera successiva il cereale sarebbe cresciuto più robusto e produttivo. Altri invece preferivano far pascolare le greggi all’inizio della primavera, per lo stesso scopo.

Verso aprile-maggio si procedeva a ramare le piante della segale: si infilavano nel terreno dei rami di frassino tra le piante per sostenerle, per permetterne una crescita regolare ed evitare che pioggia e vento le guastassero. Giunta a maturazione, la segale era tagliata col falcetto e raccolta in piccoli fasci, che venivano poi portati a casa e appoggiati in piedi vicino alla stalla, nei fienili o lungo muretti, per alcuni giorni, perché si seccassero bene. 

La battitura della segale

 

Nel cortile o nei solai la segale era disposta su grandi teli. Le piante erano sistemate a terra in circolo, con le spighe verso l’interno. Da 6 a 8 persone battevano le spighe con il correggiato, un attrezzo costituito da due bastoni uniti alle estremità da strisce di cuoio che ne permettevano la rotazione: uno dei due bastoni era tenuto in mano dal battitore, che col bastone collegato percuoteva segale. I colpi col correggiato dovevano essere ben alternati e dati sempre con lo stesso ritmo per velocizzare l’operazione e per evitare che i battitori si colpissero tra loro. 

La battitura della segale era anche un’occasione di festa, soprattutto per le ragazze. Era infatti un lavoro tipicamente femminile che costituiva sia un’occasione di guadagno extra sia un’opportunità per un pranzo un po’ più lauto del solito.

I fusti con le spighe ormai vuote si raccoglievano in piccoli fasci che sarebbero serviti durante l’inverno per ricoprire la lettiera degli animali.

La pulitura finale dei chicchi richiedeva ancora alcuni importanti lavori: da un balcone o da un tetto basso e in una giornata un po’ ventilata, la segale veniva buttata lentamente in basso, su di un telone, di modo che, durante la caduta, l’aria portasse via quasi tutta la pula. Si mettevano poi i chicchi in un particolare cesto che veniva poi fatto oscillare; in questo modo l’aria ripuliva definitivamente la segale. L’ultima operazione consisteva, in una bella giornata di sole, nello spargere la segale sopra un telo steso a terra per togliere le pietruzze o i chicchi di segale cornuta. Questa è velenosa e se presa in dosi massicce può condurre alla morte, mentre in casi meno gravi provoca allucinazioni. Questo potrebbe spiegare, almeno in parte, l’importanza che le “masche” e la fisica avevano per la gente di Usseglio.

La segale era infine raccolta in sacchi, che sarebbero stati portati al mulino.

La segale non serviva solo per fare il pane: per curare tosse e raffreddori veniva scaldata, messa in un sacchetto ben chiuso che si poneva sul petto o sulla schiena dell’ammalato per almeno tre notti; messa a bagno in acqua veniva data alla mucca dopo il parto, come rinfrescante.

 

Notizie tratte da:
- Usoei, Uxellos, Usseglio, Luigina Longhi Borla, Antonella Reffieuna Roch
- In bot è j’aijt.. lou mulin dla Parineri, Luigina Longhi Borla