Villa Cibrario

Versione breve

 

Villa Cibrario , che oggi purtroppo porta addosso i segni del tempo , durante la Seconda guerra mondiale fu un importante ospedale partigiano .

 

La villa, di proprietà dei fratelli Cibrario, nel giugno 1944 fu requisita e riadattata come ospedale da Attilio Begey, ufficiale medico della Croce Rossa e primario presso l’ospedale Maria Vittoria di Torino.

 

Begey, che aveva già organizzato un’infermeria ad Usseglio ma che si era rivelata insufficiente, organizzò un ospedale con 60 posti letto, una corsia per la chirurgia, stanze di isolamento per i feriti più gravi, una sala operatoria, la cucina e servizi vari al piano terreno della Villa, e, al piano superiore, tre sale per i ricoverati di medicina, una di isolamento per i contagiosi e l’alloggio per il direttore del personale sanitario. In una dependance della Villa sistemò uno speciale reparto per la disinfezione e la disinfestazione, l’alloggio per il personale di assistenza ed il magazzino.

 

I 60 posti letto furono appena e per poco sufficienti, poiché l’ospedale cominciò presto ad ospitare feriti dalla vicina a Val di Susa, che giungevano a Margone attraverso il Colle del Lys, oppure attraverso il Colle delle Coppe e Malciaussia. Questo percorso era veramente faticoso: il trasporto di un ferito da Borgone di Susa a Margone richiedeva ben 10 ore di marcia sui sentieri di alta montagna!

 

I Partigiani erano fieri dell’ospedale e si presero l’impegno di difenderlo.

 

Ben presto, però, l’ospedale di Margone diventò insufficiente. Oltre ai partigiani, si dovevano ricoverare quei civili che non potevano essere inviati in ospedali cittadini, partigiani liberati da altri ospedali e anche prigionieri feriti.

 

È curioso l’aspetto riguardante i prigionieri ricoverati. Ad essi venivano dati, in teoria, solo pane e minestra in brodo. In pratica, però, ricevevano dal partigiano vicino di letto parte della sua pietanza o addirittura qualche nota dalla sua sigaretta. Il personale dell’ospedale fingeva di non vedere questi episodi e, anzi, si compiaceva in silenzio di quella fraternità nel dolore contrapposta alla barbarie del nemico nazifascista.

 

Begey si preoccupò anche della sicurezza dei degenti in caso fosse giunto in Valle il nemico. Individuò come sicuro ricovero una casetta di proprietà della Società Idroelettrica Ovest Ticino, situata a 2400 metri sulla riva del Lago dietro la Torre, che chiamò “Sanatorio”. La casetta ospitava anche convalescenti da malattie gravi e anemizzati da emorragie conseguenti a ferite, che necessitavano di riposo in alta montagna unitamente ad un vitto speciale.

 

Per ben due volte il Sanatorio fu usato come sede di sfollamento per i ricoverati dell’ospedale. Non appena venivano segnalati movimenti di truppe nemiche verso la Valle, scattava il dispositivo di sicurezza. Da Margone i feriti, attraverso automezzi prima, un vertiginoso piano inclinato al quale dovevano essere preparati con iniezioni per prevenire gli svenimenti, e una serie di carrelli e gallerie poi, raggiungevano il rifugio sicuro al Lago dietro la Torre.

 

Nell’autunno del 1944, quando divenne chiaro che il nemico voleva occupare stabilmente le Valli di Lanzo, Begey decise di trasferire a Bessans, in Francia, i malati e i feriti. Organizzò l’imponente trasferimento di materiale e ricoverati attraverso il Colle dell’Autaret, a quota 3070 m. Dopo aver predisposto le misure di sicurezza per proteggere il trasferimento, Attilio Begey vedeva concluso il suo compito nelle Valli di Lanzo e andò a prestare il suo servizio nella media Valle di Susa.

Versione approfondita

 

Villa Cibrario, che oggi purtroppo porta addosso i segni del tempo, durante la Seconda guerra mondiale fu un importante ospedale partigiano.

 

La villa, di proprietà dei fratelli Cibrario, nel giugno 1944 fu requisita e riadattata come ospedale da Attilio Bersano Begey (conosciuto come comandante Claudio Ferrero), ufficiale medico della Croce Rossa e primario presso l’ospedale Maria Vittoria di Torino.

 

Egli aveva organizzato, durante gli anni della guerra, un servizio sanitario per le bande partigiane. Nella primavera del 1944 la gestione dei feriti diventò problematica a causa dell’aumentare dei rastrellamenti nazifascisti, sempre più sanguinosi, ed i feriti iniziarono ad essere ricoverati nelle fredde baite di montagna. Begey, che aveva già organizzato un’infermeria ad Usseglio ma che si era rivelata insufficiente, dopo la requisizione di Villa Cibrario a Margone organizzò un ospedale con 60 posti letto, una corsia per la chirurgia, stanze di isolamento per i feriti gravi, una sala operatoria, la cucina e servizi vari al piano terreno della Villa. Al piano superiore tre sale per i ricoverati di medicina, una di isolamento per contagiosi, l’alloggio per il direttore ed il personale sanitario. In una dependance della Villa sistemò uno speciale reparto per la disinfezione e la disinfestazione, l’alloggio per il personale di assistenza ed il magazzino.

 

I 60 posti letto furono appena e per poco sufficienti, poiché l'ospedale, nato per ospitare i feriti della XIX Brigata, cominciò presto ad ospitare i garibaldini della vicina III Divisione, che inviava feriti in ambulanza o su automezzi tramite Avigliana e il Colle del Lys, oppure barellati o sul mulo attraverso il Colle delle Coppe e Malciaussia. Questo percorso era veramente faticoso: il trasporto di un ferito da Borgone di Susa a Margone richiedeva ben 10 ore di marcia su sentieri di alta montagna!

 

I Partigiani erano fieri dell’ospedale e si presero l’impegno di difenderlo, tanto che ad ogni rastrellamento i comandanti della 19° Brigata e Terza Divisione inviavano uomini per la difesa armata dell’ospedale e dei suoi ricoverati. La Formazione delle Valli di Lanzo e della Valle di Susa inviavano, tramite staffette, medicinali, materiale di medicazione e viveri di conforto necessari all’ospedale.

 

La biancheria da letto necessaria e gli effetti letterecci come materassi, letti, pagliericci, furono reperiti nella stessa Villa dei fratelli Cibrario, in quella del pittore Cesare Ferro e in altre ville disabitate. Donne di Usseglio e di Margone provvedevano a lavare, rammendare e stirare la biancheria dell’ospedale. Ripartendo la biancheria tra varie famiglie, era evitato anche il rischio del reperimento della stessa da parte del nemico presso una sola famiglia in caso di rastrellamento. Soltanto la biancheria proveniente da colpiti da malattie infettive o contagiose veniva lavata direttamente presso l’ospedale, sotto particolare controllo.

 

Ben presto, però, l’ospedale di Margone divenne insufficiente. Oltre ai Partigiani si dovevano ricoverare quei civili che non potevano essere inviati in ospedali cittadini, Partigiani liberati da altri ospedali, e anche prigionieri feriti. È curioso l’aspetto riguardante i prigionieri ricoverati. Essi erano sistemati in corsia tra i Partigiani (ai quali erano lasciate le armi) e venivano loro dati, in teoria, solo pane e minestra in brodo. In pratica, però, spesso il partigiano vicino di letto scopriva uno strano gusto a metà della sua pietanza, e questa finiva allora nel piatto del prigioniero. Analogamente, il partigiano che in tempo di miseria aveva fumato aghi di pino avvolti in carta di giornale e che trovava sigarette tra i pochi generi di conforto in dotazione all’ospedale, finiva sempre per trovarvi dentro un capello. Da ciò l’ordine al nemico di “tirare qualche nota” o di finire addirittura la sigaretta. Il personale dell’ospedale fingeva di non vedere questi episodi e, anzi, si compiaceva in silenzio di quella fraternità nel dolore contrapposta alla barbarie del nemico nazifascista.

 

Begey si preoccupò anche della sicurezza dei degenti in caso fosse giunto in Valle il nemico. Individuò come sicuro ricovero una casetta di proprietà della Società Idroelettrica Ovest Ticino, situata a 2400 metri sulla riva del Lago dietro la Torre che chiamò “Sanatorio”. Oltre ad essere preparata ad ospitare in caso di rastrellamento i garibaldini non dimissibili dall’ospedale, la casetta ospitava anche i convalescenti da malattie gravi, degli anemizzati da emorragie conseguenti a ferite che necessitavano di riposo in alta montagna unitamente ad un vitto speciale. La casetta disponeva di una sala di medicazione e di camerette per un totale di 30 letti, tutte riscaldate elettricamente. Vi erano poi una cucina elettrica dotata di forno, una radio per allietare il soggiorno dei ricoverati e una piccola biblioteca circolante. I viveri deperibili erano inviati giornalmente tramite teleferica e quotidianamente veniva trasmesso all’ospedale di Margone il bollettino delle temperature e delle condizioni dei ricoverati.

 

Per ben due volte il Sanatorio fu usato come sede di sfollamento per i ricoverati dell’ospedale. Non appena venivano segnalati i movimenti di truppe nemiche verso la Valle, scattava il dispositivo di sicurezza. Da Margone i degenti scendevano su automezzi fino alla frazione Crot di Usseglio. Da qui, attraverso un vertiginoso piano inclinato, in 13 minuti si raggiungeva il Monte Bassa. I feriti andavano assicurati con funi e preparati con iniezioni cardiotoniche per prevenire gli svenimenti. Dal Monte Bassa i feriti erano trasferiti su carrelli piatti (le piattine) e in 20 minuti si raggiungeva la centrale elettrica sotterranea di Pian Sulè. Un nuovo piano inclinato arrivava attraverso una galleria a Moncurtil. Qui un nuovo trasbordo su piattine e, attraverso lunghe gallerie, si arrivava finalmente al Lago dietro la Torre. Contemporaneamente al trasporto dei feriti si svolgeva, tramite teleferica, quello del materiale.

 

Nell’autunno del 1944, quando divenne chiaro che il nemico voleva occupare stabilmente le Valli di Lanzo, Begey decise di trasferire a Bessans, in Francia, malati e feriti. Organizzò l’imponente trasferimento di materiale e ricoverati attraverso il Colle dell’Autaret. Una squadra di uomini precedette il gruppo dei feriti con pecore (da sacrificare per il pasto), legna e pentole e raggiunse la vecchia caserma al Colle, a quota 3070 m. Quando vi giunsero i feriti accompagnati dai portaferiti e dal personale dell’ospedale, trovarono un pasto caldo e un ambiente non del tutto gelido per riposare una notte prima di iniziare la discesa verso la Francia.

 

Dopo aver predisposto anche le misure di sicurezza per proteggere il trasferimento, Attilio Begey vedeva concluso il suo compito nelle Valli di Lanzo e andò a prestare il proprio servizio nella media Valle di Susa.

 

 

Notizie tratte da:

 - Il servizio sanitario partigiano in Piemonte (1943-1945), A. Bersano Begey, Minerva Medica, 1970